mercoledì, dicembre 07, 2016

La storia di un popolo raccontata nei canti

Era il 1872 quando nasceva il corpo degli Alpini, che ben presto dava vita a una enorme tradizione canora. «In quei testi c’è tutta la nostra origine. Da queste storie c’è molto da imparare»


Le Truppe Alpine hanno avuto origine nel 1872, quando il giovane Regno d’Italia dovette affrontare il problema della difesa dei nuovi confini terrestri, che dopo l’infelice guerra del 1866 contro l’Austria, coincidevano quasi interamente con l’arco alpino.

L’unità d’Italia con Roma capitale era da poco compiuta ed il nuovo stato si trovava a dover affrontare una situazione internazionale molto delicata per il riaccendersi di tensioni con la Francia e con la potente monarchia Asburgica, ancora potenzialmente ostile dopo la cessione del Veneto all’Italia.

La mobilitazione dell’Esercito e la difesa del territorio nazionale erano state, fino allora, previste nella pianura padana in corrispondenza del vecchio Quadrilatero perché le Alpi, nella concezione strategica del tempo, non erano ritenute idonee a operazioni di guerra.

L’idea di affidare la difesa avanzata della frontiera alpina ai valligiani del posto anziché ricorrere a truppe di pianura, che oggi appare semplice e logica, a quei tempi era assolutamente originale, quasi rivoluzionaria.
L’ideatore del Corpo degli Alpini fu l’allora capitano di Stato Maggiore Giuseppe Domenico Perrucchetti, nato a Cassano d’Adda, in provincia di Milano il 13 luglio 1839 (a vent’ anni fuggì dalla Lombardia, allora sotto la dominazione austriaca, per arruolarsi volontario nell’esercito Piemontese).
Da quel momento ha inizio la storia di un valoroso corpo dell'esercito, una storia fatta di battaglie, guerre in trincea, reclutamenti in Italia, missioni all’estero. 
Ma la storia di questo corpo non può fare a meno di considerare una delle espressioni più belle che questi ha saputo partorire: il canto. 
Il repertorio musicale degli Alpini è enorme, «anche se in realtà è raro trovare canzoni scritte apposta dal corpo stesso: i soldati adattavano le musiche popolari, cambiando le parole in base alle situazioni che vivevano». A spiegarci l’importanza di queste musiche è Mauro Pedrotti, direttore dello storico coro Sat in un intervista rilasciata al settimanale Tempi (www.tempi.it) del 2012, in occasione dei festeggiamenti per i Centoquaranta anni di storia degli Alpini. 
Un gruppo nato a Trento su iniziativa dei fratelli Pedrotti (di cui Mauro è nipote) negli anni Venti. E che è giunto fino ai nostri giorni alternando voci e direzioni, e facendo un gran lavoro di ricerca, recupero e armonizzazione del patrimonio musicale alpino, favorito anche dalla nascita di una Fondazione e di una Scuola per cantori e direttori. Con Pedrotti abbiamo voluto celebrare il compleanno degli Alpini riscoprendo il valore del loro repertorio canoro.


Desidero riportare qui l'intervista a Mauro Pedrotti, perchè ben testimonia un bellissimo pezzo di storia italiana, attraverso un'esppressione artistica fatta da un popolo per un popolo. Qui è possibile trovare l'articolo originale con l'intervista



Pedrotti, perché il corpo degli Alpini è così legato ai suoi canti?

Gli Alpini sono originariamente gente di montagna: dal Piemonte fino al Friuli (e passando anche per l’Abruzzo) il reclutamento ha sempre pescato da zone di montagna, chiaramente soprattutto alpine. E qui il canto tipico era quello corale, piuttosto lento, senza strumenti. Questa è la tradizione canora da cui proviene il canto degli Alpini, che si è trasferita poi ai periodi di permanenza militare, sia in guerra che in pace.


Quando inizia ad affermarsi la tradizione del canto all’interno degli Alpini?

Abbiamo dei canti, come Mamma mia vienimi incontro, che risalgono al 1896, anno della guerra italiana in Abissinia. Il canto alpino in sé esiste come rielaborazione e riutilizzazione di canti popolari esistenti. È raro che ci sia un canto alpino nato tra gli Alpini: di solito sono canti popolari pre-esistenti adattati, soprattutto nel testo, alle situazioni che quei soldati si trovavano a vivere: in trincea, sotto attacco, in ritirata. È il caso, ad esempio, di La si taglia i biondi capelli: sicuramente esisteva già prima della guerra in molte regioni italiane. Noi abbiamo ritrovato una versione che arriva dal Veneto, e fa riferimento alla bella guerriera, presente anche nella tradizione lombarda. Ecco, qui si vede bene l’adattamento alla situazione che quel reparto si trovava a vivere in quel frangente.


Cos’ha da dire la storia degli Alpini al mondo di oggi?

Gli Alpini sono famosi per lo spirito di corpo, più di altre armate. Anche in questo gioca un ruolo chiave l’origine montanara e il carattere di questa gente: tranquillo, sobrio, abituato alle difficoltà del vivere. Questo andava oltre i confini regionali: era indifferente se uno era piemontese o friulano, l’unità era sempre la stessa. Questa è una caratteristica che è rimasta in vita anche dopo: quante volte l’Associazione Nazionale Alpini corre dove c’è bisogno (terremoti, frane, alluvioni), mettendo a disposizione il proprio lavoro e le proprie attrezzature? È un aspetto che continua a sopravvivere, nonostante non ci sia più la leva obbligatoria e le reclute siano di meno: l’Ana ha migliaia di soci, tutti fieri di farne parte.


I canti popolari degli Alpini esprimono una varietà enorme di sentimenti e situazioni: sono canti di festa, d’amore, di guerra… A quali si sente più legato? Cosa ama di più di questa musica?

Il canto che più amo e che più rispecchia, secondo me, i valori del corpo degli Alpini è Monte Canino. Si parla di una cima che ora sta in Slovenia, appena dietro il Friuli, dove si combatteva nella Prima Guerra Mondiale: il canto però non parla di battaglie, ma di «quel lungo treno che andava al confine», cioè dell’avvicinamento delle truppe al fronte. Non c’è alcuna euforia guerresca (come c’è in tanti altri canti Alpini), non c’è alcuna retorica: c’è solo una grande accettazione di quella che era la situazione di questi soldati, chiamati a combattere e lasciare casa e famiglia per andare sul fronte. Sono strofe cariche di nostalgia, senza alcun tipo di enfasi guerresca.


Col vostro coro, la scuola e la fondazione cercate di tenere in vita questa tradizione. Perché? Cosa apprezza di questa attività?

Abbiamo quasi il dovere di portare avanti questa storia. Il canto della Sat è stata un’invenzione felicissima fin dalle origini, che ha mosso decine, se non centinaia, di cori: nel secondo dopoguerra tantissimi gruppi sono nati seguendo il modo di cantare e dalle partiture messe a disposizione dalla Sat. A quell’epoca ben poco esisteva di canto armonizzato: il lavoro di questo coro ha quindi mosso la voglia di cantare di tanti. Poi magari hanno preso altre strade, con stili diversi, repertori più vari, ma la partenza è stata comune a tanti. Questo perché intorno alla storia della Sat si sono sommati alcuni elementi particolarmente proficui: una famiglia estremamente musicale pur non avendo un’educazione musicale specifica, alcune coincidenze come la conoscenza di Luigi Pigarelli e Antonio Pedrotti, la collaborazione di altri insigni musicisti come Benedetti Michelangeli. Da queste concomitanze così particolari è venuta fuori una storia unica, quella del coro Sat, che ha fatto cantare mezza Italia. Noi che siamo gli eredi ne sentiamo l’orgoglio e il dovere di portare avanti questa cosa: con questi canti tramandiamo storie e valori che oggi sono un po’ offuscati, ma che rimangono sempre famigliari alla gente. Mi stupisce sempre vedere, ad esempio, che cantiamo La pastora da ottantacinque anni, eppure abbiamo gente che si commuove ancora adesso. E poi c’è l’aspetto musicale: il coro Sat è stato il primo ad entrare in teatri dove il canto popolare non aveva mai messo piede, anche per un pregiudizio musicale. Il lavoro fatto ha permesso di elevare queste tradizioni a valori musicali assoluti. E questo si vede bene all’estero: quando facciamo concerti fuori dall’Italia la semplicità e la bellezza di questa musica è compresa ancora di più, perché svuotata delle sue caratteristiche storiche per cui viene gustata ancor di più in Italia.


Il canto popolare va sempre più perdendosi. È finito il fascino che poteva avere qualche decennio fa? Come tenere in vita questo pezzo di storia del nostro Paese?

Il canto popolare sparisce per diversi motivi, a partire dal fatto che non c’è più produzione di canto popolare. Una volta ci si ritrovava assieme dopo cena o dopo il lavoro per cantare insieme, e ognuno apportava variazioni, strofe nuove, magari sentite in un altro paese… Ecco, questo ormai non c’è più, i nostri figli fanno altro. Rimane però il valore che questi canti hanno: sono la rappresentazione in chiave moderna di quella che era la vita di una volta. E questo non si può dimenticare: lì sono le nostre origini, e il canto popolare è una delle migliori interpretazioni delle nostre origini. Il lavoro della Sat è proprio per tenere in vita questa storia, con grandissimo orgoglio.



Leggi di Più: Una storia musicale di popolo. Gli Alpini compiono 140 anni | Tempi.it 
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