giovedì, ottobre 02, 2008

Terra incognita L'insondabile Mistero è una realtà - di Marco Bersanelli

Ai bordi estremi della realtà fisica, c'è un sipario che la natura stende sui suoi confini ultimi.
Condizione necessaria per l'emergere della vita e dell'uomo.
Dal mondo della scienza un'ipotesi affascinante


È innegabile, c'è un ignoto.
I geografi antichi tracciavano quasi una analogia di questo ignoto con la famosa "terra incognita" con cui terminava il loro grande foglio;
ai margini del foglio segnavano "terra incognita". Ai margini
della realtà che l'occhio abbraccia, che il cuore sente, che la mente immagina, c'è un ignoto.
(Luigi Giussani)


Fin qui giungerai e non oltre,
e qui s'infrangerà l'orgoglio
delle tue onde.
(Giobbe 38, 1.8-11)


Come i navigatori di un tempo si procuravano le migliori imbarcazioni per solcare rotte ignote, così oggi i ricercatori utilizzano per le loro indagini gli strumenti più potenti che la tecnologia possa loro offrire. Molto di ciò che possiamo conoscere del mondo naturale dipende dall'adeguatezza dei mezzi che utilizziamo per osservarlo. Il rovescio della medaglia è che scienziati e pionieri di ogni epoca devono fare i conti con l'imperfezione degli strumenti che di volta in volta hanno a loro disposizione. Anche la più robusta caravella o il più potente acceleratore di particelle hanno prestazioni limitate, e questo limite segna a sua volta la soglia di quanto è possibile esplorare. Ogni limite strumentale appare tuttavia provvisorio, incalzato da nuove e più potenti tecnologie, raggiunte via via con ritmi crescenti. Nel campo della scienza, il confine dell'ignoto appare così in sistematica, inesorabile ritirata sotto i colpi dell'indagine della ragione, potentemente armata da tecnologie sempre più sofisticate. Tanto che al cosiddetto uomo moderno è parso che, in fondo, non vi fosse alcuna limitazione alla conoscenza della natura, e che addirittura una "conquista finale" fosse possibile e a portata di mano. Erano in molti, a metà dell'Ottocento, ad applaudire al dilagante trionfalismo scientista, espresso per esempio dalle parole lapidarie del chimico francese Berthelot: «L'universo non cela più oggi alcun mistero».
Ma in questo secolo sono affiorati alcuni "scogli" di natura diversa. Non più barriere dovute a limitazioni strumentali, ma limiti che appaiono scritti nella natura stessa. Gli esempi più famosi di questo genere di limite fondamentale sono emersi nell'ambito logico-matematico, ad esempio con il teorema della incompletezza di Goedel, e il teorema di non-computabilità di Touring. Anche la fisica ha toccato situazioni analoghe, in particolare con il principio di indeterminazione di Heisenberg e il limite della velocità della luce di Einstein, che segnano le nuove frontiere, le colonne d'Ercole poste ai bordi estremi della realtà fisica: "l'infinitamente piccolo" e "l'infinitamente grande".

Nebulosa del Granchio: residuo Supernova.

Partita a tennis
Ivanisevich, il famoso campione di tennis, è in grado di battere il servizio imprimendo alla pallina una velocità che supera i 200 km all'ora. Si capisce che, se ben angolato, un colpo del genere è destinato a fruttare un ace anche quando dall'altra parte c'è un altro grande giocatore. Immaginiamo di vedere l'azione alla moviola. Se fermiamo il fotogramma appena dopo il colpo possiamo valutare accuratamente, magari con l'aiuto di un computer, la posizione e la velocità della pallina, e prevedere se anche questa volta Ivanisevich si aggiudicherà un servizio vincente. A parte i limiti tecnici e strumentali dell'osservazione, idealmente possiamo conoscere in modo esatto la posizione e la velocità della pallina in un certo istante, e di qui prevedere perfettamente la dinamica dell'azione.
Tuttavia nel mondo delle particelle elementari le cose vanno in modo assai più vario e imprevedibile. In particolare le partite da tennis, per le quali si utilizza un elettrone come pallina, tengono gli spettatori continuamente col fiato sospeso. Nel 1927 Werner Heisenberg dimostrò, infatti, che non è possibile conoscere simultaneamente la velocità e la posizione di un elettrone o di qualunque altra particella elementare. C'è un compromesso inevitabile che lo spettatore deve accettare: se vuole conoscere meglio la posizione della "pallina", deve perdere qualcosa nella precisione con cui ne conosce la velocità, e viceversa. Al limite, la conoscenza esatta della posizione è a scapito della ignoranza assoluta della velocità. Non si tratta di un problema "tecnico": anche se la nostra telecamera fosse perfetta, non saremmo mai in grado di prevedere se il nostro tennista subatomico farà un altro ace.

L'estremamente piccolo
Così la natura mostra un argine alla nostra possibilità di determinarne gli aspetti più profondi. In termini quantitativi questo argine è espresso dalla costante di Planck: è il suo valore che segna, per così dire, il grado di questa indeterminazione. Il valore della costante di Planck è estremamente piccolo (nel sistema più usato in fisica, basato sui grammi, i centimetri e i secondi, essa equivale a una parte su 6,6 miliardi di miliardi di miliardi), il che spiega come mai i suoi effetti non sono percepibili nella nostra esperienza ordinaria. Tuttavia, per quanto piccolo, il valore della costante di Planck non è nullo: questo fatto limita, non solo in pratica, ma anche in linea di principio, la nostra possibilità di misurare, e anche di immaginare e descrivere adeguatamente le proprietà fisiche dei singoli mattoni fondamentali che costituiscono la materia. «Quando si tratta di atomi, il linguaggio può solo essere usato come in poesia», parola di Niels Bohr, uno dei padri della meccanica quantistica.
Le tecniche attuali ci consentono di misurare la velocità della luce con grande precisione: 299.792 km al secondo. Si raggiunge la Luna in poco più di un secondo, Marte nel tempo di un caffè. La teoria della relatività, oggi suffragata da una moltitudine di evidenze sperimentali, ci indica poi che questa velocità segna un record definitivo, imbattibile: nessun messaggio fisico può propagarsi con una velocità superiore a quella della luce.
Trecentomila chilometri al secondo vuol dire oltre un miliardo di chilometri all'ora. È una velocità inconcepibile alla nostra immaginazione, eppure si tratta di una velocità finita. Questo fatto ha una conseguenza radicale sulle nostre possibilità di osservare il cosmo. Numerose evidenze astrofisiche accumulate in questi decenni mostrano che l'universo ha una storia finita nel passato, una storia che ha preso il via da uno stato di estrema densità e temperatura e anche di estrema semplicità, in un'epoca che risale a circa 15 miliardi di anni fa. Se la velocità della luce è finita, ed è anche la massima velocità possibile in natura, questo significa che nell'intero arco di tempo della storia dell'universo un qualunque messaggio fisico può avere coperto solo una certa distanza: enorme ma limitata.

Orizzonte cosmologico
Qual è la conseguenza per noi? La conseguenza è che c'è un limite ultimo e irrevocabile alla profondità dello spazio che possiamo osservare, così come c'è un limite temporale all'età di ogni realtà fisica. Non importa quanto potenti sono i nostri telescopi o quelli che potremo costruire in futuro: non è un problema di tecnologia, ma di come la natura è fatta. Si può stimare che la massima distanza da cui possiamo ricevere "qualcosa" è di circa 1023 km (centomila miliardi di miliardi di chilometri). Oggi le nostre osservazioni si avvicinano a questo "orizzonte cosmologico" (come viene definito anche tecnicamente), ma non potremo mai spingere lo sguardo oltre tale orizzonte. C'è un sipario che la natura stende sui suoi confini ultimi. La regione dell'universo accessibile alla nostra osservazione è inesorabilmente limitata dal valore finito della velocità della luce.
«L'universo non cela più oggi alcun mistero», si diceva un secolo fa. Ma sembra preistoria. Il valore finito della costante di Planck (piccolissimo, ma non uguale a zero) e della velocità della luce (grandissimo, ma non infinito) testimoniano il carattere "inarrivabile" della realtà fisica. La scienza moderna ci confida che neppure strumenti perfetti consentirebbero di spingere le nostre osservazioni al di là di certe sponde. La ricerca scientifica promette di proseguire indomita la sua avventura, ma sempre lasciando ultimamente incompiuto il suo affresco del mondo fisico. Così, proprio come i navigatori di un tempo, ai margini delle nostre mappe dell'universo accessibile tracceremo sempre il dominio di una "terra incognita", analogia affascinante dell'Oltre, segno forte dell'insondabile Mistero che abbraccia tutto e ogni cosa.

Le colonne d'Ercole
Ma oggi abbiamo anche incominciato a renderci conto di un altro fatto fondamentale. I valori assunti in natura dalla velocità della luce e dalla costante di Planck svolgono un ruolo cruciale nella struttura e nell'evoluzione dell'universo fisico. Il valore di queste costanti determina l'importanza relativa delle forze fondamentali che controllano la catena ininterrotta di eventi cosmici che portano, ultimamente, alle particolarissime condizioni fisiche necessarie per l'emergere della vita e dell'uomo. Addirittura, una differenza anche minuscola nel valore dell'una o dell'altra avrebbe avuto conseguenze catastrofiche sull'evoluzione della struttura dell'universo, nefaste per la possibilità di sostenere esseri viventi al suo interno. Il valore finito di queste due costanti, che da una parte "vela" i fattori ultimi del mondo fisico, dall'altra è indispensabile affinché noi possiamo essere qui, ammirati, a parlarne. Come ha scritto il cosmologo John Barrow, «la finitezza della velocità della luce è uno degli elementi che rendono la vita nell'universo possibile, e potrebbe essere uno degli elementi che rendono possibile l'universo stesso. Ironicamente è anche uno degli elementi che impediscono agli esseri viventi di conoscere i segreti ultimi». Siamo così condotti a un affascinante paradosso: le medesime circostanze fisiche che rendono l'universo accogliente per l'uomo, implicano contemporaneamente un livello ineliminabile di incompiutezza nella nostra possibilità di misurare e scandagliare l'universo stesso.
Così, inaspettatamente, la presenza di quelle mitiche colonne dov'Ercole segnò li suoi riguardi/ acciò che l'uom più oltre non si metta» (Inferno, XXVI, 107) si rivela essere in un rapporto misterioso e profondo con la possibilità stessa della nostra vita di creature coscienti. Un universo vivibile deve avere necessariamente una "terra incognita".

Fonte: mensile Tracce www.tracce.it